Scheda: Punto di partenza:
dalla strada mareneve a Fornazzo, frazione di Milo, prendere il bivio per il
Rifugio Citelli. Su questa strada, il punto di partenza è a quota 1525: un
piccolo Bivio chiuso da una sbarra di ferro su una stretta asfaltata.
Consigliamo di non percorrere la stradina asfaltata, ma il bosco a monte
della stessa.
Punto di Arrivo:
Stessa strada di cui sopra, ma tra quota 1200 e le Case Pietracannone
Dislivello: in salita 100 metri in discesa 450 metri Distanza:
circa 5 chilometri.Tempo di cammino: circa 4 ore. Note: si può
anche ridurre l’escursione ad andata e ritorno dallo stesso punto di
partenza, mentre un percorso molto impegnativo comporta il proseguimento in
direzione di Serra delle Concazze.
Informazioni:
Artemisia
cooperativa via Serradifalco,119, Palermo, tel. 0916824488 email:
artemisianet@tin.it
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Etna |
i colori dei boschi,
delle lave e dei cristalli
testo e foto di Giuseppe
Ippolito
Il percorso a piedi inizia
dalla strada asfaltata che collega la frazione Fornazzo con il Rifugio
Citelli e attraversa da nord a sud la pineta della Cubania mantenendosi ad
una quota intorno ai 1500 metri. Meta della breve escursione è il ripido
cono di scorie di Monte Rinatu (m1569), uno dei tanti crateri laterali
dell’Etna e straordinario punto panoramico sulla Valle del Bove: grandiosa
depressione del fianco orientale, profonda un chilometro e larga cinque. La
pineta della Cubania non è una semplice pineta, ci si accorge ben presto che
altre essenze arboree accompagnano o sostituiscono il pino (Pinus nigra
ssp. calabrica), soprattutto nella sua parte in quota a formare un
interessante mosaico di associazioni vegetali naturalmente distribuite in
base a esposizione dei versanti e miroclima. Procedendo da nord a sud si
incontrano in successione una serie di valli e vallecole parallele tra loro
in cui il faggio domina nei fondovalle e nei versanti freschi esposti a
settentrione, mentre pino e quercia (Quercus congesta) condividono
creste e versanti meridionali. A complicare ulteriormente il mosaico
intervengono altri alberi e arbusti: la betulla (Betulla aetnensis),
localmente abbondante, l’acero (Acer obtusatum), che predlilge i
valloni freschi, ma cresce anche sull’orlo del Monte Rinatu e la ginestra (Genista
aetnensis) pianta pioniera dei suoli poveri, la più grande tra le
ginestre che spesso assume le dimensioni di un piccolo albero. Degli alberi
colpisce soprattutto il colore dei tronchi, messo in risalto dal nero
dominante delle ceneri vulcaniche prodotte dall’ attività esplosive e
distribuite dai venti. Grigia è la corteccia del faggio, bianca, finemente
lineata, quella della betulla, bruno gialla quella della ginestra e marrone
pallido quella dell’acero. Il bosco si interrompe improvviso in lunghe
radure in corrispondenza della colata lavica del 1928, qui, tra le piante
erbacee, da giugno ad agosto, è facile incontrare le piccole farfalle della
famiglia dei Licaenidae ed una grande e appariscente falena
multicolori un tempo molto diffusa: la Arctia caja. Sulla colata si
può osservare, in fieri, il lento processo di colonizzazione della
sterile superficie basaltica da parte della vegetazione. Il processo inizia
con l’alterazione dei minerali del basalto, ma è principalmente determinato
dal progressivo accumulo di sostanza organica e cenere che insieme originano
suolo fertile. In tutte le superfici più o meno recenti e al di sotto del
limite della vegetazione, si osservano i diversi stadi della serie
vegetazionale che passa gradualmente dal deserto lavico al bosco. I versanti
dell’Etna sono in continua evoluzione e lasciano poche aree tranquille per
un periodo sufficientemente lungo da poter evolvere una vegetazione stabile.
Le aree meno recenti del vulcano sono spesso facilmente riconoscibili
proprio per la vegetazione matura che ospitano, oppure perché la morfologia
le lascia riconoscere come parti esposte all’erosione di precedenti edifici
vulcanici come è il caso dei rilievi che circondano la Valle del Bove. Un
ulteriore indizio che può aiutare a distinguere le colate antiche da quelle
recenti è il colore. Le colate recenti si presentano generalmente nere
mentre nel tempo, la progressiva ossidazione e alterazione dei minerali,
tende ad ingiallire ed arrossare il basalto. Dall’orlo meridionale del
Rinatu si apre in tutta la sua maestosità la Valle del Bove, considerata dai
geologi la caldera del Trifoglietto II, risultato dell’esplosione e del
collasso di questo antenato dell’Etna avvenuti circa 60.000 anni fa. Non
sono tanti 60.000 anni infatti l’intero edificio dell’Etna non ha parti più
antiche di 600.000 anni e qualsiasi altra roccia affiorante in Sicilia è più
vecchia. Nei basalti, costituiti in massima parte da vetro nero, si notano
facilmente i plagioclasi: piccoli cristalli trasparenti di forma aciculare,
i pirosseni, cristalli prismatici nero lucente e le olivine, di color verde
bruno; questi sono tra i primi cristalli a comparire solidi nella massa di
magma ancora fuso. I cristalli sono atomi disposti ordinatamente e per
ottenere questo ordine occore del tempo pertanto le lave raffreddate
rapidamente contengono solo piccoli cristalli. Il colore interviene ancora
una volta ad orientarci nel distinguere i basalti tra loro dandoci
infomazioni sulla loro posizione al momento del raffredamento: quelli
compatti e pesanti, privi di vacuoli, si formano all’interno di una massa di
magma dove il maggior tempo di raffreddamento consente sia ai gas di
spostarsi in superficie sia ai cristalli chiari di plagioclasio di
accrescersi. Ne risulta che più tempo ha la roccia per raffreddare più
risulta grigia. Nel fianco est del cratere del Monte Rinatu, tra i cespugli
di ginestra, incontriamo il Cerastium sp. e numerosi esemplari
di Orobanche variegata, pianta priva di clorofilla che usa
parassitare le leguminose. Sull’orlo interno ovest del cratere fioriscono
anche l’Anthemis aetnensis e la Rumex sp. Mentre è
lussureggiante la giovane faggeta del versante settenrionale mista, nelle
sue parti sommitali, a betulle e pini. Durante la discesa nella
pineta, in direzione delle Case Pietracannone, incontriamo una bianca
orchidea: la Cephalantera longifolia.
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