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Monte delle Rose m1436

Sul finire dell’estate… sui Monti Sicani

Testo di Giuseppe Ippolito

Monte delle Rose
Scheda tecnica:
Da Palazzo Adriano in direzione sud-ovest, superare Fontana Grande e percorrere la sterrata a nord del rilievo Piano della Ferla e Monte Rose e a sud di Cozzo Fatocchio. Da qui risalire il versante per tracce di sentiero in direzione sud, in forte pendenza, puntando sul nevaio di Monte Rose. Proseguire per cresta per Monte Pernice e Portella dello Spagnolo. Da qui un sentiero scende a Valle Grande. Proseguendo per cresta si può raggiungere anche Pizzo San Filippo per poi scendere per sentiero all’interno della Valle Piccola.
Dislivello: m 550
Lunghezza del percorso: Km10 circa (per Valle Piccola)
Tempo di cammino: 5 ore circa
Come raggiungere Palazzo Adriano:
Da Palermo e da Agrigento SS118 per Prizzi e poi SS188 direzione Chiusa Sclafani.
Dalla SP.115, da Ribera per Bugio e Chiusa Sclafani, oppure da Menfi per Sambuca di Sicilia, Giuliana e Chiusa Sclafani.

Il paesaggio è quello che associano al nome Sicilia tutti coloro che ne hanno percorso almeno una volta l’interno durante la stagione estiva. Ci sono i “brivatura” (abbeveratoi) con acqua freschissima sorprendentemente abbondante, quando tutto intorno è caldo e arido. Ci sono grilli che cantano e saltano tra gli steli delle piante annuali. Ci sono i capolini aperti coriacei e spinosi delle carline su cui si posano le farfalle della generazione estiva e gli steli ancora verdi del finocchio selvatico. Poi ancora le more mature, i frutti arancione delle rose spontanee e le drupe violacee coperte di pruina biancastra del pruno selvatico. I piccoli frutteti innaffiati sono pieni di ogni delizia più o meno matura e il verde scuro dei querceti relitti, sui versanti ripidi, è assediato dal giallo luminoso, agricolo e pastorale, appena interrotto da linee verdi di macchia lungo i fossi dei torrenti in secca, lungo le vie e lungo i confini. Poi c’è ancora il verde degli uliveti, dei rimboschimenti forestali, della vegetazione ripariale dei fiumi. Più lontano lo stesso paesaggio si ripete, solo appena più azzurrino, tra i rilievi complessi e poco allineati dei monti Sicani. Siamo alle porte di Palazzo Adriano al Piano di Fuscia, dove cresce un grande noce a due passi da una importante sorgente. Su una mulattiera ormai carrozzabile, passa un uomo a cavallo, a petto nudo, con un mulo al seguito carico di bidoni di plastica già pieni d’acqua. “S’aviti i roti, picchì ci’aviti a ghiri a peri?” risponde alla nostra richiesta di un viòlo non carrozzabile per il Monte delle Rose. Poi aggiunge: “s’acchianati di ca ci arrivati dumani!” e dopo una lunga conversazione saluta raccomandando di non bere alcolici e di non fumare perché persino gente “di valuta” s’è rovinata la vita così. La salita a piedi al Monte delle Rose inizia per noi da nord, da una mulattiera che proviene da Prizzi passando per la contrada Monte di Mezzo. Il percorso si sviluppa su pendio erboso esposto a nord con rari ciavardelli (Sorbus torminalis) e querce caducifoglie alla cui ombra resistono cespugli verdissimi di dafne (Daphne laureola). Poi si attraversa un rimboschimento forestale di conifere fino alla cresta e si percorrono in successione le cime di Monte Rose (m1436), Monte Pernice (m1363) e Pizzo San Filippo (m1352). Queste tre cime hanno versanti settentrionali ripidi, fitti di querceti, e chiudono a sud l’ampia e suggestiva Valle Grande con al centro un abbeveratoio. Dalle creste si può leggere il paesaggio come su una carta topografica. Evidenti a nord Prizzi e la cima della Rocca Busambra, ad est la Quisquina e Monte Cammarata, a nord-ovest il monte Triona che chiude il rilievo allungato di Monte Colomba e a sud-ovest la cima di Pizzo Mondello. Al suolo fioriscono i Colchicum sp., indicatori puntuali del finire dell'estate, il “cipuddazzu” (Urginea marittima), il “finocchietto” (Phoeniculum vulgaris) e prosegue a fiorire la carlina siciliana (Carlina sicula).
E’ la stagione d’oro delle mantidi che possono disporre di grosse prede tra gli ortotteri delle famiglie Acrididae e Tettigonidae. Osservando con attenzione i verdi steli del finocchio selvatico scopriamo in agguato una Iris oratoria in livrea verde, ma esistono anche quelle a livrea bruno chiaro. Ha ali più corte dell’addome e le femmine sono grandi 4-5 cm. Un’altra mantide, più frequente, più conosciuta ed anche più grande (7-8 cm di lunghezza per le femmine) è la Mantis religiosa, molto simile a I. oratoria, ma con le ali che ricoprono interamente l’addome. Anche di questa specie esistono la forma verde, adatta al mimetismo sul finocchio selvatico e la forma bruna, più adatta ad appostarsi su steli secchi o comunque bruni. Il metodo di caccia delle mantidi è ben noto: rimangono mimetizzate in agguato in un luogo frequentato da insetti e sono pronte a scattare con le possenti e spinose zampe anteriori non appena una preda incauta si avvicini. Le mantidi depongono in autunno le uova in ooteche spugnose che seccando divengono rigide e saldate al substrato. Le ooteche proteggono le uova fino alla schiusa prevista per la successiva primavera. Nel corso dell’escursione s’incontrano altre due specie di mantidi (ordine Mantodea) ancora più piccole. Una appartiene al genere Ameles (forse la A. spallanzania) ed è capace persino di saltare grazie a zampe posteriori robuste. Si trova spesso in agguato sui fiori della carlina e misura 3-4 centimetri. Al suolo o su bassi steli incontriamo anche la Geomantis larvoides una piccola forma attera (priva di ali) di colore marrone screziato, lunga appena 2,5 cm. Si muove agilmente sul terreno cacciando attivamente insetti. In alcune aree di quota la Carlina è quasi l’unico fiore disponibile in autunno anche per i lepidotteri. Tra le farfalle incontriamo soprattutto i Satyridae Hipparchia briseis e Hipparchia statilinus, i cui bruchi vivono sulle graminacee, e la Nymphalidae Melitea didyma, dalle ali superiormente arancione macchiettate di nero, la cui larva si sviluppa su piante dei generi Plantago, Linaria e Veronica. I gruccioni, variopinti uccelli migratori, svolazzano in gruppo sui prati gialli assolati, divorando imenotteri, ditteri, ortotteri e lepidotteri… è solo un’ultima nota sicana di fine estate e poi, con l’inverno, torneranno in Africa.

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