schede

News...Notizie sulla natura direttamente dalle escursioni di Artemisia
Gorgo del Drago (Godrano) Monti di Palazzo Adriano
Sperlinga e Nicosia Isole Eolie
Madonie Corleone
Neviere   Iblei
GORGO DEL DRAGO (Godrano) Il sentiero all’interno del Bosco della Ficuzza attraversa almeno due associazioni vegetali diverse tra loro: il querceto dominato da alberi di roverella e quello dominato dalla sughera qui in talora in maestosi esemplari. Nel sottobosco prevale la ginestra spinosa accompagnata da pungitopo, euforbia e macchie di ciclamino; le ghiande delle querce offrono qui un abbondante nutrimento per molti animali mentre i cespugli del sottobosco offrono un efficace riparo durante il riposo diurno. È possibile osservare sui rami degli alberi le così dette “galle”, protuberanze rotondeggianti formatesi in seguito alla puntura di insetti imenotteri. La galla ospita infatti la larva dell'insetto.La pineta è invece caratterizzata dalla quasi totale assenza di sottobosco che non riesce ad attecchire sul tappeto di aghi morti che ricopre il terreno e non riceve luce sufficiente. Anche questo ambiente offre una buona quantità di cibo agli animali selvatici (soprattutto roditori) che si nutrono di pinoli. Se si è fortunati e si sta bene attenti è possibile ascoltare il ritmico tambureggiare del picchio rosso maggiore che con il suo frenetico lavoro rende palese la sua presenza. Si giunge dunque al Gorgo del Drago, uno stagno basso-montano (altitudine m 854 s.l.m.) dalla forma sub circolare, poco profondo e lungo circa 100 m, in condizioni di piena primaverile; viceversa dopo la stagione estiva è asciutto. Giungendovi colpisce il contrasto ambientale tra il terreno brullo che circonda e contiene lo specchio d’acqua e l’alta cinta arborea dei boschi di pini e querce che pressa compatta tutt’intorno. Un tempo quasi tutta quest’area era ricoperta d’acqua che arrivava a lambire la peschiera, costruzione che il Re Ferdinando IV di Borbone utilizzava per trascorrere il tempo libero pescando nello stagno e allevando egli stesso i pesci in vasche adiacenti per ripopolarlo. Sembra che quando lo specchio d’acqua godeva ancora di buona salute vi vivesse l’ululone a ventre giallo, un anfibio simile alla rana dalla particolare colorazione. Anche la vegetazione un tempo era lussureggiante lungo le coste del Gorgo: pioppi, olmi, salici, canne di palude, felci creavano l’habitat adatto a molti animali acquatici. Oggi gran parte della zona è ricoperta da un fitto manto erboso, interrotto di tanto in tanto da ciuffi di giunco e cespugli di felce. Anche lo specchio d’acqua non conosce più gli antichi splendori tanto che nelle stagioni più asciutte si riduce ad una pozza fangosa di pochi metri. Anche se il paragone con il passato ci costringe a ridimensionare il valore di questo sito naturalistico, ambienti di questo genere sono comunque di enorme importanza per l’equilibrio dell’ecosistema circostante: basta infatti una piccola quantità d’acqua che perduri durante la primavera e l’inizio dell’estate per consentire la riproduzione di anfibi ed insetti parzialmente acquatici come il rospo e le libellule, voraci predatori degli insetti del bosco.GOLE DEL DRAGOFiume Belice Sinistro)  Le Gole del Drago si formano per erosione fluviale di un terreno roccioso attraversato dal Fiume di Frattina, denominazione del tratto superiore del Belice Sinistro che ha qui le caratteristiche di un torrente, con forti pendenze e alveo profondamente scavato fra le rocce calcaree. Nel tratto superiore del percorso che seguiremo, potremo osservare le varie forme di erosione prodotte in un continuo scavo millenario: pareti rocciose verticali, marmitte di erosione e salti di roccia dove l’acqua forma pittoresche cascate; in quello inferiore, dove il terreno ha una pendenza minore e dove l’uomo nel passato ha posto degli argini per smorzare la furia delle acque e proteggere così i mulini costruiti un po’ più a valle, si formano dei suggestivi, minuscoli, laghetti immersi nella vegetazione fluviale. Le marmitte sono una sorta di pentoloni di roccia calcarea originatisi a causa dell’erosione provocata dai ciottoli bloccati fra le rocce e costretti a turbinare con l’acqua delle piene.  Le Gole del Fiume Frattina rappresentano un ambiente assai raro in Sicilia, grazie alla particolare conformazione del terreno si viene a creare all’interno dell’alveo un ambiente molto differente da quello circostante: la costante umidità consente il prosperare di essenze botaniche quali la tamerice, il salice, la lenticchia d’acqua e la canna di palude. Sulle pareti a strapiombo che formano la gola, invece, crescono rigogliose le felci che prendono il posto in successione dei fichi d’India e dell’ampelodesma che formano la tipica vegetazione rupestre subito al di fuori della gola. La presenza dell’acqua, oltre a consentire la riproduzione e la sopravvivenza di anfibi, insetti e altri invertebrati acquatici, rappresenta una fondamentale fonte di vita per la fauna selvatica circostante che vi si reca per l’abbeveraggio e la propria pulizia. Sopra i campi limitrofi alla gola e facile imbattersi nel volteggiare di poiane e gheppi, uccelli rapaci che scrutano il territorio in costante ricerca di una preda.  Fino a non molti anni fa, quando le gole conservavano ancora la propria integrità, le ninfee prosperavano lungo il torrente, così come i granchi di fiume e soprattutto la tartaruga palustre erano ospiti abituali di queste acque.  GOLE DEL TORRENTE CORLEONE E CASCATA DELLE DUE ROCCHE  Il Torrente di Corleone, affluente di sinistra del Fiume Belice Sinistro, prima di entrare nel paese da cui prende nome, attraversa un terreno di rocce calcaree (calcareniti glauconitiche) che ha scavato nel corso dei millenni formando un breve, tortuoso canyon fra alte pareti stratificate. Il canyon denominato Gole del Torrente Corleone, termina nel punto in cui l’alveo del fiume fa un salto di oltre 10 metri, formando così, nelle stagioni in cui l’acqua abbonda, la bellissima e scrosciante Cascata delle due Rocche con alla base un laghetto.  L’ambiente di cascata presenta delle peculiarità del tutto uniche. L’acqua infatti, colpendo violentemente e costantemente la roccia viene nebulizzata, determinando una saturazione completa dell’aria circostante. Di questo fenomeno ne godono spesso alcune piante come le Briofite (muschi) e le Pteridofite (felci) che, appartenendo a gruppi vegetali arcaici, non si sono del tutto riscattati dall’ambiente acquatico. Queste piante infatti necessitano sovente della presenza dell’acqua affinché i loro gameti si possano incontrare e quindi consentire la riproduzione della specie. Anche le alghe d’acqua dolce trovano sulla superficie costantemente bagnata della roccia, ma comunque a contatto diretto con l’aria, un substrato ideale alla proliferazione Torna all'inizio  
Monti di Palazzo Adriano Il Bosco di Sant'Adriano, nel cuore dei Monti Sicani, occupa gran parte del versante occidentale dei Monti di Palazzo Adriano, versante che digrada dai 1.220 m della vetta del Pizzo Gallinaro ai 220 m dell'alveo del Fiume Sosio. Questo digradare, però, non è regolare, ma vario e articolato, con pendii più o meno inclinati, con altopiani a bosco o a pascolo, con creste e speroni rocciosi. Una conformazione del terreno, quindi, aspra e diversificata che offre una incredibile serie di habitat a piante ed animali. Le caratteristiche ambientali del territorio ne hanno favorito l'inserimento in una fra le più importanti riserve naturali della Sicilia, quella dei "Monti di Palazzo Adriano e Valle del Sosio", che, estendendosi ai circonvicini territori include altri interessantissimi aspetti, primo fra tutti quello scientifico per la presenza di alcuni massi calcarei ricchi di fossili vegetali ed animali, fossili che fanno datare gli stessi massi al Permiano, ultimo periodo geologico dell'Era Primaria: si parla di un periodo compreso fra 280 e 225 milioni di anni fa. Inoltre i monti della riserva sono costituiti da calcari compatti appartenenti al Trias medio, alcuni affioramenti dei quali sono rarissimi in Italia. Il Trias o Triassico è il primo periodo geologico dell'Era Mesozoica o Secondaria, quindi il periodo che segue temporalmente al Permiano e che va da 225 a 190 milioni di anni fa. Altro importante aspetto della riserva naturale è quello idrogeologico per la presenza del Sosio, un piccolo fiume lungo appena 52 km, ma che porta tanta acqua da rendere il montagnoso territorio sicano un isola felice nel contesto di una Sicilia occidentale piuttosto arida: oltre ai 3 laghi artificiali realizzati nel suo bacino va menzionato l'acquedotto di Montescuro che fornisce acqua dalla provincia di Caltanissetta a quella di Trapani. Il Sosio, nel tratto che attraversa la riserva naturale, offre interessanti aspetti geologici e ambientali formando spettacolari gole fra pareti a strapiombo e speroni rocciosi. Non vanno dimenticati infine i segni che l'uomo ha lasciato in questo territorio: mulattiere, ponti, fattorie, mulini, castelli; segni discreti, sparsi nella vastità del territorio ed ora consumati dal tempo fin quasi a scomparire. Vi sono anche due santuari. Il Santuario di Rifesi, del XII sec. nell'omonimo bosco dagli enormi esemplari di roverella e il Santuario di Sant'Adriano, purtroppo in rovina, meta della nostra escursione. L'estrema varietà del territorio ha determinato un altrettanto ricco differenziarsi del patrimonio botanico e zoologico: i boschi naturali della zona sono rappresentati da estesi querceti a Leccio e Roverella con ricco sottobosco che un tempo si estendevano alla maggior parte dei monti Sicani. Questi querceti sono sovente accompagnati da essenze botaniche arbustive quali il corbezzolo, il terebinto e il biancospino che, con la loro presenza, contribuiscono ad arricchire il valore naturalistico di questa zona. Presenti in quest'area anche zone di rimboschimento, soprattutto a Pino domestico, Pino d'Aleppo e Cipresso ma anche a Eucalipto, presenze esotiche nel nostro territorio. In quelle aree in cui il bosco è scomparso del tutto ormai da tempo a causa della storica attività antropica e che non vengono utilizzate per la coltivazione di olivi, mandorli, peschi e viti, troviamo una successione di ambienti che vanno dalla macchia alla gariga alla prateria. Tutti questi aspetti ambientali fanno si che all'interno dell'area interessata alla Riserva dei Monti di Palazzo Adriano e della Valle del Sosio possa essere ospitata una grande varietà di animali selvatici. Proprio la presenza del Sosio, uno dei pochi fiumi Siciliani caratterizzati dalla presenza continua di acqua, permette la possibilità di nidificazione al Merlo acquaiolo, molto raro nell'intera Isola. Ancora più rara è la presenza dell'Aquila del Bonelli, la cui esistenza è strettamente legata alla popolazione del coniglio selvatico, e del Nibbio Bruno, mentre più cospicua è la presenza di falconiformi come il Gheppio, il Falco Pellegrino e il Lanario oltre ai rapaci notturni come il Barbagianni, l'Allocco e la Civetta. I mammiferi predatori sono invece rappresentati dalla onnipresente Volpe, dalla Martora e dalla Donnola. Tutti questi predatori, alati e non, basano la propria sopravvivenza sulle cospicue popolazioni di roditori selvatici , lagomorfi (coniglio e lepre) e piccoli uccelli, che grazie alla varietà e alla ricchezza dell'habitat di queste zone trovano senza particolari difficoltà il nutrimento e il riparo idoneo alla propria riproduzione. Torna all'inizio

 

Sperlinga e Nicosìa Escursione del 18-19 novembre 2000 Questo fine-settimana proposto da Artemisia mira a far conoscere, agli interessati turisti-escursionisti che da noi amano farsi accompagnare, un territorio dell'interno della Sicilia, poco frequentato dai grandi flussi turistici, che si estende tra il settore sud-occidentale dei Nebrodi e quello nord-orientale dei Monti Erei, amministrativamente diviso fra le province di Enna e di Messina. Cinque i luoghi oggetto della nostra visita ai quali si può aggiungere un sesto luogo che è quello scelto per trascorrere la notte e per ristorarci nei due giorni di fatiche escursionistiche e turistiche. Si tratta del Motel La Vigneta, 6 km a N di Nicosìa, noto per la ristorazione basata su gustosi piatti della tradizione culinaria locale. Siamo nel versante meridionale dei Nebrodi a quota 835 m s.l.m. Il primo luogo è la meta dell'escursione di sabato 18/11: il Bosco di Sperlinga in territorio geograficamente appartenente alla regione montuosa degli Erèi. Si tratta di un querceto che si estende sul versante orientale del Monte Tiri, m 1.196, principale elevazione di un breve crinale minore che, dal Monte Zimmara, m 1.333, si allunga ad E per circa 4 km, digradando poi nelle valli - che ne delimitano il territorio - del Fiumetto di Sperlinga e del Torrente Mandre; il primo è il nome dell'alto corso del Fiume Salso, affluente di dx del Simeto, tributario del Mar Ionio; il secondo affluisce da dx al Salso 3 km ad O di Nicosìa. L'escursione avrà inizio dalla Masserìa Intronata, m 918, e si snoderà attraverso stradelle e sentieri nel bosco; questo è formato essenzialmente da roverelle (Quercus pubescens) e cerri (Q. cerris), ma sono anche presenti l'acero e il perastro e un vario sottobosco di arbusti e piante cespugliose fra cui il biancospino, il lentisco, la ginestra, la rosa di macchia, ecc..  Il secondo luogo, che visiteremo nel pomeriggio al termine dell'escursione, è la cittadina di Nicosìa, m 724 interessante centro dell'alto Ennese, al limite SO dei Nebrodi. A Nicosìa si parla ancora un dialetto particolare che conserva termini introdotti da gruppi etnici provenienti dalla penisola, principalmente lombardi; tale immigrazione fu favorita dai Normanni nell'XI secolo e proseguì fino al XIII secolo. Da visitare la Cattedrale di San Nicola, le chiese di San Biagio e di Santa Marìa Maggiore e i ruderi del Castello; da assaggiare i dolci della locale pasticceria. La mattinata di domenica è dedicata alla visita di Sperlinga, m 750, piccolo centro a poca distanza da Nicosìa, ma di grande interesse turistico per il singolare Castello costruito dai Normanni con una cinta muraria merlata, che racchiude al suo interno vari ambienti scavati in gran parte nella roccia di un enorme masso arenario, da antichi abitatori della protostoria. L'insieme delle grotte formava probabilmente una regale dimora dei Siculi (XII-VIII secolo a.C.). Alla base del castello sono visitabili anche alcune abitazioni rupestri, ancora usate fino a pochi decenni or sono, che conservano arredi e oggetti di vita quotidiana. Nel pomeriggio, lungo la via del ritorno, si passa nella provincia di Messina attraversando da S a N il settore occidentale dei Nebrodi. Superato il crinale spartiacque sosteremo, dopo una piccola deviazione, sulle rive dell'Urio Quattrocchi, piccolo laghetto montano, soggetto a magre estive, in grado però di garantire la sopravvivenza a gracidanti famiglie di rane e rospi e di dissetare gli animali dei vicini allevamenti e quelli selvatici, compresa una fauna avicola particolarmente varia nel corso delle stagioni. Suggestivo l'ambiente umido soprattutto nella stagione invernale. Lasciato il laghetto, si raggiunge poco dopo il paese di Mistretta, m 900, disteso su un piatto crinale sormontato dall'altura su cui insistono i ruderi del castello a dominio della valle del Torrente Santo Stefano. Antica città, prospera già al tempo dei Greci (Amestratos) e poi dei Romani (Amestratus). Conserva le rovine del castello, la chiesa Madre dedicata a Santa Lucia, le interessanti chiese di San Sebastiano e di Santa Caterina e alcuni palazzetti nobiliari (pal. Russo e pal. Scaduto) che testimoniano la sua importanza anche in epoche più recenti. a cura di Giuseppe Casamento Torna all'inizio  
ISOLE EOLIE Le Isole Eolie o Lìpari sono un arcipelago vulcanico emergente dalle acque marine del basso Tirreno al largo della costa settentrionale siciliana da cui distano mediamente 40 km: l'isola ad essa più vicina, Vulcano, dista 20 km da Capo Calavà. Esse sono la parte emersa di un sistema di rilievi sottomarini che si innalzano da fondali profondi fino a 2000 m; un po' più a N il fondale raggiunge la fossa abissale tirrenica profonda circa 3400 m. Le Eolie sono isole geologicamente recenti, essendo la loro formazione ascrivibile all'era quaternaria, ultima delle ere geologiche, ancora in corso da circa un milione e mezzo di anni. L'arcipelago, formatosi lungo linee di frattura della crosta terrestre, disegna nel mar Tirreno un arco lineare visibile di circa 87 km con estremità l'isola di Stromboli a NE e l'isola di Alicudi ad O; in realtà il rilievo sottomarino si prolunga ad O con altri vulcani e riaffaccia dopo un'ampia depressione con l'isola di Ustica. Un secondo arco, di minore lunghezza va da Stromboli fino all'isola di Vulcano a SE. L'arcipelago, composto da 7 isole abitate, da alcuni isolotti e da numerosi scogli e faraglioni, costituisce un'attrazione turistica di grande rilevanza internazionale: le bellezze naturali, l'archeologia e la storia, l'architettura tipica locale, l'attrezzatura turistica e l'ospitalità della gente, la gastronomia si fondono qui in un unicum irripetibile, creando un'atmosfera particolare tipicamente eoliana. Innumerevoli le bellezze naturali di queste isole vulcaniche, in un contrasto cromatico che vede contrapposti il blu del mare che le circonda e l'azzurro del cielo che le sovrasta, ai colori della terra vulcanica, ora rossa o bruna, ora nera, ora bianca, terra che il clima mediterraneo umido e solare, ha ricoperto della lussureggiante, verde, vegetazione spontanea della macchia mediterranea, che a sua volta colora l'ambiente con le fioriture stagionali, come il giallo della ginestra, il bianco e il porpora dei cisti, il lillà dei fiorellini dell'erica. E poi le forme della natura: le isole coniche con montagne che sfiorano i mille metri, dai versanti ripidi, ora lisci, ora irregolari perché scavati ed erosi dalle scarse acque piovane, dal vento e da crolli e smottamenti del terreno. E le coste, bellissime, contornate da scogli, faraglioni ed isolotti, con grotte scavate dal mare e promontori che in esso si allungano: il giro in barca intorno alle varie isole è una delle cose che maggiormente si consiglia ai turisti. Arduo stilare un elenco delle bellezze naturali, che si allungherebbe a dismisura, ma non possiamo tacere l'incanto o l'emozione suscitati da alcuni luoghi eoliani: la baia di Pollara e l'inviolabile Monte dei Porri nell'isola di Salina, Cala Junco a Panarea, il cratere di Stromboli in intermittente attività eruttiva e quello di Vulcano in costante attività fumarolica, i basalti verticali di Basiluzzo che sprofondano nel mare, le grotte e il faraglione "La Canna" di Filicudi, l'isolotto di Strombolicchio, le montagne bianche di Lipari, il fascino della selvaggia Alicudi. L'isola di Lipari conserva insospettati tesori archeologici e storici, grazie ad una civiltà neolitica sviluppatasi nel 4.000 a.C. intorno al commercio dell'ossidiana, vetro nero vulcanico, di cui l'isola abbonda, che veniva allora usato come arma (punte di frecce) o come utensile (lame di coltelli). Questo commercio rese per secoli Lìpari uno dei luoghi più ricchi del Mediterraneo. L'antica acropoli della città, divenne castello nel Medioevo, e nel Castello, ancora oggi cinto da poderose mura, trova posto il Museo Eoliano, fra i principali musei archeologici d'Italia, che propone al visitatore un percorso preistorico e storico che inizia 6.000 anni fa. Altre importanti tracce archeologiche si trovano nei villaggi preistorici di Capo Graziano a Filicudi e Punta Milazzese a Panarea.   L'architettura tipica locale è rappresentata dallo stile eoliano delle case. Esse hanno spesso una forma allungata, che segue il versante montano: il lato ad esso rivolto resta all'ombra, al riparo dalla calura estiva; sul lato opposto, quello che guarda il mare, si apre un terrazzo, simile al patio, delimitato da una serie di colonne cilindriche alternate a sedili in pietra rivolti verso la casa; questo spazio abitativo esterno è ricoperto da pergolato. La gastronomia eoliana, fondamentalmente a base del pesce fresco locale è contraddistinta dalla presenza del cappero, il prezioso aromatico bocciolo, conservato sotto sale, che trova impiego come condimento o ingrediente in numerosi primi piatti e contorni, dalla pasta al pesce, alla caponata, alle insalate, conferendo loro un inconfondibile e accattivante gusto. Ma il prodotto di maggior pregio è la Malvasìa delle Lìpari, il raffinato vino dolce, dal gusto delicato, noto fin dall'antichità come "nettare degli Dei". Il suo costoso procedimento produttivo, si pensi che si ottiene dalla spremitura dei grappoli di uva passa del vitigno omonimo, limita fortemente la quantità, rendendo il vino autentico un prodotto raro e ricercato. Il quadro dell'immenso valore turistico di questo arcipelago è completato dall'attrezzatura turistica, ora al passo con i tempi, in grado di soddisfare le esigenze più svariate dei turisti, che possono qui trascorrere serenamente le loro vacanze dedicandosi alle attività preferite, dalla balneazione allo shopping, ai vari sport acquatici, ai giri in barca, all'escursionismo o anche semplicemente gustando una granita al tavolo di un bar all'ombra del patio eoliano, le cui ampie finestre delimitate dalle colonne, aprono la vista su paesaggi di sogno.   VULCANO: STORIA GEOLOGICA E VULCANOLOGICA La storia geologico-vulcanologica dell'isola di Vulcano è recentissima essendo la sua formazione avvenuta nel corso degli ultimi 70.000 anni, un periodo molto breve se si considera che la storia geologica della terra è lunga milioni di anni; secondo le più accreditate teorie degli studiosi in materia, l'isola di Vulcano si sarebbe formata attraverso 6 distinte fasi geologico-vulcanologiche. La prima fase avviene nel corso della glaciazione di Wurm, quindi già in era Quaternaria, quando un primo vulcano emerge dal mare e raggiunge un'altezza di circa 1.000 metri. La seconda fase vede il collasso della parte centrale del vulcano con la conseguente formazione di una grande caldera, che colmata nei millenni, costituisce oggi tutto il settore centro-meridionale dell'isola denomiato Il Piano, attualmente contornato da un orlo di rilievi montuosi che comprendono la massima elevazione dell'isola, il Monte Aria, m 500. Durante la terza fase, circa 13.000 anni fa sul finire della glaciazione wurmiana, si forma, a NO della precedente caldera, un secondo vulcano. Con la quarta fase, 10.000 anni fa all'inizio del periodo geologico dell'Olocene, avviene il collasso di questo secondo vulcano con la formazione di un'altra grande caldera. Successivamente ha inizio la quinta fase con l'elevarsi, all'interno di questa seconda caldera, di un nuovo edificio vulcanico, l'attuale Vulcano della Fossa, che raggiunge un'altezza di circa 400 metri. Infine una serie di eruzioni avvenute in epoca storica, nel II secolo a.C., provoca l'emersione dell'isolotto di Vulcanello a N del Vulcano della Fossa. Il nuovo apparato vulcanico con 3 crateri, il più elevato dei quali misura oggi 123 metri si è congiunto al resto dell'isola soltanto nel corso del XVI secolo. Giuseppe Casamento Bibliografia - TCI - Guida d'Italia, volume SICILIA - 1989 - Luigi Bernabò Brea e Madeleine Cavalier: ISOLE EOLIE - Vulcanologia / Archeologia - Oreste Ragusi Editore. Torna all'inizio  
MADONIE Le Madonìe sono uno dei principali rilievi montuosi della Sicilia. Secondo per altitudine dopo l'apparato vulcanico dell'Etna, il rilievo madonita si può considerare l'unico grande massiccio siciliano, poichè gli altri rilievi presentano una diversa morfologia orografica oppure hanno dimensioni modeste al confronto. Poste al centro della fascia settentrionale dell'isola, chiudono ad O la serie di rilievi che origina dallo Stretto di Messina, dai quali peraltro sono chiaramente separati dalla valle del Fiume Pollina. Il massiccio, delimitato ad O dal Fiume Imera Settentrionale, ad E dal Pollina, spinge a N le sue propaggini fino al Mar Tirreno; a S si affaccia sul territorio collinare del ramificato, alto bacino del Fiume Salso/Imera Meridionale; a SE, oltre l'abitato di Gangi, disteso sul Monte Maronio, e il rilievo denominato Balza Lunga, le Madonìe si collegano all'esteso rilievo montuoso degli Erei. Queste delimitazioni si riferiscono al massiccio roccioso e alle sue propaggini, bacino orografico denominato "Alte Madonie" per distinguerlo dal limitrofo bacino orografico delle "Basse Madonie", altrimenti detto "Pre-Madonie" che si riferisce al territorio oltre la linea Imera Settentrionale/Imera Meridionale delimitato ad O e a SO dal Fiume Torto e dai rami fluviali dell'alto bacino del Plàtani. Con il decreto del 9/11/1989 l'Assessorato del Territorio e dell'Ambiente della Regione Siciliana ha istituito il Parco delle Madonie per la tutela di un territorio articolato che oltre a coprire gran parte delle Alte Madonie sconfina un po' a SO nelle Basse Madonìe fino a lambire gli abitati di Caltavuturo e Sclafani Bagni e ad E oltre il Fiume Pollina, per includere una sottile striscia di territorio nebrodense lungo la sponda destra dello stesso fiume. Il territorio madonita è da tempo meta di studiosi e ricercatori interessati alla conoscenza delle particolari peculiarità ambientali e culturali, che vanno dalla geologia alla botanica, alla fauna e alle attività antropiche. Caratteristiche che sono state ampiamente descritte in numerose pubblicazioni, già nel periodo antecedente l'istituzione del parco, ma in maggior misura in quello successivo. Ed è compito dei gestori far meglio conoscere il territorio per accrescerne l'interesse, con l'obiettivo di far decollare un'economia madonita finora povera e trascurata, ma senza compromettere gli aspetti naturalistici che hanno reso necessaria l'istituzione del parco. Aspetti che noi non possiamo, in questa breve scheda naturalistica, descrivere. Possiamo solo accennare a montagne calcaree alte quasi duemila metri, innevate d'inverno e scavate da innumerevoli doline e altri fenomeni carsici nascosti fra boschetti di faggi nani; ad estesi e fitti boschi, soprattutto querceti, sughereti e castagneti che ricoprono le medie pendici e gli altopiani compresi fra i monti; alle rarità botaniche e faunistiche; ai numerosi paesi disposti quasi a cerchio tutt'intorno al massiccio, ricchissimi di storia ed arte, chiese, castelli, fontane.  Un mondo naturale affascinante e talvolta grandioso che la mano dell'uomo non è riuscito a distruggere, anzi nei secoli ha arricchito con i segni dei suoi insediamenti, delle sue attività e della sua cultura.     PIANO FARINA E VALLONE FRA PAOLO Il Vallone Fra Paolo è il solco torrentizio scavato dalle acque di scorrimento che scendono dal versante orientale del Monte Quacella alto m 1.869. Esso confluisce a m 1.312 con il Vallone Prato, formando il Vallone Canna che più a valle, ricevendo altri corsi d'acqua, dà origine al Torrente Vicaretto, affluente di sinistra del Fiume Pollina. Piano Farina è invece un piccolo altopiano sulle pendici N del Pizzo Cerasa; è disposto su due livelli ad una altitudine compresa fra i 1.350 e i 1.417 metri, e si affaccia a NO sul sottostante Vallone Canna che qui scorre ad un'altitudine compresa approssimativamente fra i 1.000 e i 1.100 metri. Il nostro percorso inizia al km 25 della provinciale Mongerrati-Piano Battaglia-Petralìa Sottana; ascendendo un piccolo colle boscoso si raggiunge il Piano Farina ricoperto da cespugli di astragalo nebrodense e altre piante basse: di fronte a noi il roccioso Pizzo Canna, m 1.429 al di là dell'omonimo vallone. Ci si inoltra in un bosco di faggi e roverelle, procedendo su sentiero e poi su stradella: si raggiunge il Vallone Pomieri e la contrada omonima. Qui la vegetazione è davvero interessante e varia: oltre ai pomi, che danno nome alla contrada si incontrano annosi faggi ed aceri ed alcuni esemplari di enormi querce pluricentenarie, alla cui ombra vegetano grosse siepi di rovi e arbusti di perastri, biancospini e rose di macchia. Ma la presenza più interessante è data dall'agrifoglio, dalle foglie coriacee di colore verde-scuro, lucide e spinose e dai caratteristici frutti rossi, che qui cresce sia in forma di alberi, sia in forma di siepi che circondano gli alberi alla loro base formando caratteristiche bordure circolari (ricordiamo che è vietato staccare i rametti dell'agrifoglio!). Superato il vallone, si può proseguire il percorso su sentiero in contrada Canna, fra cespugli di pomi e peri selvatici, fino a ritrovare, più in alto, il letto del vallone, ove vegeta imponente un grande esemplare di acero secolare.   Giuseppe Casamento Bibliografia - Ente Parco delle Madonie: Nel Parco - Palermo 1992. Cartografia - IGM: tavolette al 25.000 e fogli al 50.000. - AAPIT - Palermo: Carta dei sentieri e del paesaggio 1:50.000, Cefalù - Madonie. Torna all'inizio  

 

CORLEONE Cascata delle due rocche 

Il territorio e l'ambiente. 
Il territorio nel quale si inserisce la cittadina di Corleone è un altopiano dell'interno della Sicilia occidentale digradante da SE a NO e compreso fra il versante SO della Rocca Busambra e quello di NO del Monte Barracù, due importanti massicci carbonatici della Sicilia occidentale alti rispettivamente 1.613 m e 1.457 m. 
L'altopiano è solcato dal Torrente di Corleone, affluente di sinistra del Fiume Bèlice Sinistro, che si forma per la confluenza delle acque superficiali del versante sud-occidentale del Cozzo Donna Giacoma, m 1.057, modesta elevazione a S della imponente Rocca Busambra. Il torrente attraversa qui un territorio formato da una particolare roccia, che i geologi chiamano calcarenite glauconitica, tipica del Corleonese, la cui erosione nel corso dei millenni ha creato caratteristici torrioni di roccia e tavolati contornati da inaccessibili pareti stratificate. 
Il paese si trova quindi inserito in un contesto ambientale molto particolare che è già di per sé una naturale attrattiva turistica. Ma l'attrattiva maggiore è offerta dalla stretta e tortuosa gola, detta Canyon di Corleone o Gola del Torrente Corleone, che il fiume ha scavato nel tratto che precede il suo ingresso nel paese; la gola termina con una splendida cascata alta circa 10 metri, chiamata Cascata delle Due Rocche. 
Poco distante da Corleone, lungo il corso del Fiume di Frattina, alto corso del Belice Sinistro, si può ammirare un'altra interessante curiosità naturale: le Gole del Drago. Si tratta di un'altra stretta gola che il fiume ha scavato nel tempo attraversando un tratto di terreno di roccia calcarea a forte pendenza e formando un'alternanza di cascate e marmitte d'erosione. Alla base dove il terreno si appiana si sono formati anche alcuni laghetti. 

La città e la storia. 
Corleone, al centro dei traffici commerciali tra Palermo ed Agrigento, protetta sul lato orientale da difese naturali come il torrente che l'attraversa e le alte rupi che in parte la cingono, è sempre stato un centro strategico a dominio della valle del Belice Sinistro. La necessità di difendere la supremazia politica e commerciale nel vasto e fertile territorio circostante ha spinto Corleone a scendere in campo in tutte le guerre combattute in Sicilia, facendole perciò meritare l'appellativo di "città animosa". 
La storia di Corleone si può fare risalire al II millennio a.C. come testimoniano alcuni reperti, dell'eneolitico e dell'età del bronzo, custoditi nel Museo Civico "Pippo Rizzo" e provenienti da scavi effettuati nella Montagna Vecchia, l'altopiano a SE di Corleone cinto da alte rupi stratificate. Il sito della Montagna Vecchia dovette poi passare sotto l'influenza degli Elimi (vi abbonda ceramica incisa a cerchi concentrici caratteristica di quella popolazione) che vi fondarono la città di Schera, prospera fino al II secolo a.C. e probabilmente distrutta dai Romani durante le guerre puniche. 
Di certo al tempo dell'occupazione saracena erano abitati sia il sito della Montagna Vecchia, sia la roccaforte di Corleone. Gli Arabi difesero a lungo dai Normanni le loro postazioni, insieme alle altre roccaforti di Jato ed Entella, e cedettero solo agli assedi di Federico II, nel XIII secolo. L'imperatore svevo, dopo aver fatto deportare a Lucera, in Puglia, le popolazioni sconfitte, fece ripopolare la città di Corleone con gruppi di immigrati della penisola, guidati da Oddone della famiglia Camerana, un discendente della quale Bonifacio, combatté a fianco di Palermo durante la guerra del Vespro. 
Nei secoli seguenti la città prosperò alquanto sia che appartenesse al Regio Demanio, sia che fosse infeudata a potenti famiglie. Un ruolo importante fu svolto fino al XVI secolo dagli altrettanto potenti ordini religiosi degli Agostiniani, dei Minori Osservanti, dei Domenicani e dei Carmelitani che in varie epoche costruirono nella città i loro monasteri. 
La città si distinse con Francesco Bentivegna durante le rivolte che avrebbero portato all'Unità d'Italia e poi ancora all'inizio del XX secolo con le lotte contadine di Bernardino Verro e nel secondo dopoguerra con il sindacalista Placido Rizzotto, ucciso dalla mafia. 
Numerosi i monumenti che la città annovera con grande prevalenza di chiese. La più importante è la Chiesa Madre, dedicata a San Martino ed edificata nel 1382. Più volte ampliata e abbellita con decorazioni e affreschi, conserva al suo interno importanti opere d'arte, come il battistero marmoreo del 1537 di scuola gaginiana, il coro ligneo del 1584 di Giuseppe Li Volsi e il paliotto dell'altare ricamato in oro su stoffa rossa. 
Fra le altre chiese ricordiamo Sant'Andrea, con portale chiaramontano sorta nel sito di una preesistente moschea; Santa Maria di Gesù, francescana, con chiostro del 1486; le chiese barocche dei complessi monasteriali di San Domenico, del Carmine e di Sant'Agostino; la cappella dell'Ospedale del Bianchi del secolo XVII che viene aperta solo il venerdì santo per portare in processione la statua in legno del corpo di Cristo; il Monastero benedettino del SS Salvatore, risalente al 1200 e dominante la città da sud. In eterno restauro, da quando fu danneggiata dal terremoto del 1968, conserva le volte affrescate e un chiostro con fontana seicentesca e altre fontanelle a forma di conchiglia. 
Altri notevoli monumenti sono i palazzetti nobiliari dell'ottocento, cioè Palazzo Provenzano, ora sede del Museo Civico e Palazzo Cammarata che fu sede comunale, con la sua torre campanaria.; i ruderi del Castello Soprano, sull'omonima rocca, con la Torre Saracena; la Rocca Sottana, a S del paese, dove nel 1607 fu costruito un carcere, ora divenuto eremo francescano dei Frati Minori Rinnovati; quattro moderne porte bronzee, opera di Biagio Governali che le ha realizzate a partire dal 1985 per adornare la Chiesa Madre, il Palazzo del Municipio, e le chiese dell'Addolorata e del Beato Bernardo. 
Bella la Villa Comunale, con una grande varietà di piante e alberi; iniziata nel 1870 nel luogo ove prima era il giardino del convento dei Cappuccini. 
Il Museo Civico "Pippo Rizzo" occupa attualmente i locali del Palazzo Provenzano, che conserva i reperti archeologici prelevati dalle contrade viciniori e quelli provenienti dalla Montagna Vecchia e una sezione etno-antropologica con reperti dalle masserie che richiamano il passato della civiltà contadina. Accoglie inoltre il Milliarum romano ritrovato nel 1991. Si tratta di una delle pietre miliari poste lungo le strade romane ad indicazione delle distanze percorse e da percorrere. 
Da menzionare ancora nella periferia e negli immediati dintorni: il ponte Arabo-normanno sul Torrente di Corleone poco distante dalla cascata; numerose chiese campestri ed edicole votive e tante masserie che testimoniano delle attività produttive in campo agricolo e zootecnico. 

LA CASCATA DELLE DUE ROCCHE 

Il Torrente di Corleone, affluente di sx del Fiume Belice Sinistro, prima di entrare nel paese da cui prende nome, attraversa un terreno di rocce calcaree (calcareniti glauconitiche) che ha scavato nel corso dei millenni formando un breve, tortuoso canyon fra alte pareti stratificate. Il canyon, denominato Gole del Torrente Corleone, termina nel punto in cui l'alveo del fiume fa un salto di circa 10 metri, formando così, nelle stagioni in cui l'acqua abbonda, la bellissima e scrosciante Cascata delle Due Rocche con alla base un laghetto. 
L'ambiente di cascata presenta delle peculiarità del tutto uniche. L'acqua infatti, colpendo violentemente e costantemente la roccia, viene nebulizzata, determinando una saturazione completa dell'aria circostante. Di questo fenomeno beneficiano alcune piante come le Briofite (muschi) e le Pteridofite (felci) che, appartenendo a gruppi vegetali arcaici, non si sono del tutto riscattati dall'ambiente acquatico. Queste piante infatti necessitano sovente della presenza dell'acqua affinché i loro gameti si possano incontrare e quindi consentire la riproduzione della specie. Anche le alghe d'acqua dolce trovano sulla superficie costantemente bagnata della roccia, ma comunque a contatto diretto con l'aria, un substrato ideale alla proliferazione. 

LE GOLE DEL DRAGO 

Le Gole del Drago si formano per l'erosione fluviale di un terreno roccioso attraversato dal Fiume di Frattina, denominazione del tratto superiore del Belice Sinistro che ha qui le caratteristiche di un torrente, con forti pendenze e alveo profondamente scavato fra le rocce calcaree. Nel tratto superiore del percorso che seguiremo, potremo osservare le varie forme di erosione prodotte in un continuo scavo millenario: salti di roccia dove l'acqua precipita formando pittoresche cascate e marmitte di erosione; sono queste sono una sorta di pentoloni di roccia originatesi a causa dell'erosione provocata dai ciottoli bloccati fra le rocce e costretti a turbinare con l'acqua delle piene. Nel tratto inferiore, dove il terreno ha una pendenza minore e dove l'uomo nel passato ha posto degli argini per smorzare la furia delle acque e proteggere così i mulini costruiti un po' più a valle, si formano dei suggestivi, minuscoli, laghetti immersi nella vegetazione fluviale. 
Le Gole del Fiume Frattina rappresentano un ambiente assai raro in Sicilia, grazie alla particolare conformazione del terreno si viene a creare all'interno dell'alveo un ambiente molto differente da quello circostante: la costante umidità consente il prosperare di essenze botaniche quali la tamerice, il salice, la canna di palude ed anche ninfee e lenticchie d'acqua . Sulle pareti a strapiombo che formano la gola, invece, crescono rigogliose le felci che prendono il posto in successione dei fichi di'India e dell'ampelodesma che formano la tipica vegetazione rupestre subito al di fuori della gola. La presenza dell'acqua, oltre a consentire la riproduzione e la sopravvivenza di rettili come la tartaruga palustre, di anfibi, di insetti e altri invertebrati acquatici, rappresenta una fondamentale fonte di vita per la fauna selvatica circostante che vi si reca per l'abbeveraggio e la propria pulizia. Sopra i campi limitrofi alla gola è facile imbattersi nel volteggiare di poiane e gheppi, uccelli rapaci che scrutano il territorio in costante ricerca di una preda. 

Bibliografia 
Guida alla Natura della Sicilia - 1974 
Sicilia della Guida Touring - TCI 1989 
Opuscoli editi dal Comune di Corleone. Torna all'inizio

   

LE NEVIERE :

Dalla neve al ghiaccio 

Le "neviere", che oggi avremo l’opportunità di vedere, erano il primo anello di una catena che portava alla produzione del ghiaccio con un procedimento assolutamente naturale. Ciò avveniva prima che l’industria avesse avviato la produzione dal ghiaccio con l'uso delle macchine frigorifere. Le neviere dei monti palermitani erano conche artificiali scavate alle quote più alte e nei versanti più freschi che fossero più adatti all'accumulo e al mantenimento della neve inverenale. Accanto ad esse veniva di solito costruita, con la pietra locale, una casa, detta appunto "casa neviera", che serviva sia come ricovero degli operai durante i giorni della lavorazione, sia per la custodia degli attrezzi di lavoro e del materiale d’uso. Quando d’inverno cadeva la neve, cessate le intemperie atmosferiche, gli operai si recavano alle neviere, raccoglievano la neve nelle conche, la pressavano con degli appositi attrezzi in legno affinché si compattasse uniformemente e assumesse, con l'ausilio delle basse temperature notturne e delle parziali rifusioni diurne, le caratteristiche del ghiaccio. Per proteggere il ghiaccio all'avanzare dela stagione si provvedeva a coprirlo con delle fronde di alberi o di ginestra o di altre piante che crescevano nella zona, che allo scopo erano state raccolte nella vicina casa. La copertura doveva essere totale per evitare che la massa di ghiaccio si sciogliesse a contatto con l’esterno e con temperature atmosferiche che, cessato il breve periodo di freddo, risalivano velocemente a causa dei venti caldi che soffiano in Sicilia anche in pieno inverno. L’operazione di raccolta poteva ripetersi più volte in base al numero di precipitazioni nevose della stagione. con la buona stagione iniziava la richiesta da parte del mercato cittadino, il ghiaccio veniva tagliato con degli appositi spadoni, caricato sui carretti e trasportato in città dove veniva conservato in depositi freschi prima di essere ancora ridotti in piccoli blocchi o sminuzzato a seconda della destinazione e distribuiti al dettaglio. La possibilità di disporre d’estate di ghiaccio sminuzzato favorì la produzione di granite e sorbetti, antesignani del moderno gelato, che già nel XVIII secolo allietava le tavole e i salotti dei signori e delle dame palermitani.  

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Monti Iblei



Il rilievo montuoso che occupa l'estremità sud-orientale della Sicilia e che prende il nome di Monti Iblei si presenta come un vasto altopiano sub-circolare culminante al centro nel Monte Lauro, alto 987 m, dal quale si dipartono a raggiera numerose propaggini che digradano dolcemente in ogni direzione; la propaggine che punta a NO in direzione di Caltagirone, passando per Vizzini e Grammichele, fa da raccordo con il gruppo montuoso degli Erei, nella Sicilia centro-orientale. L'altopiano ibleo è delimitato a N dalla Piana di Catania e ad O dalla Piana di Gela, mentre ad E e a S digrada rispettivamente verso la costa ionica siracusana e quella ragusana del Mar di Sicilia.
I Monti Iblei sono geologicamente costituiti da espandimenti vulcanici sottomarini formatisi nel Neogene, il periodo geologico del Terziario che inizia 24 milioni di anni fa, ed elevatisi insieme a potenti banchine calcaree in forma di tavolati e ripiani. L'altopiano ibleo si presenta oggi profondamente inciso dalle forre scavate dai torrenti, localmente denominate "cave", lunghe e profonde gole, strette fra ripide scarpate e rupi di calcare bianco e assimilabili per la loro morfologia ai "canyon" del Nord-America.
I numerosi rilievi che, oltre al Monte Lauro, superano gli 800 metri di altitudine danno un'idea della vastità dell'altopiano. Elenchiamo i principali: Monte Contessa m 914, Serra Casale m 910, Monte Arcibessi m 906, Serra di Burgio m 884, Monte Santa Venere m 870, Monte Difisi m 864, Monte Costerotte m 848 e Monte Erbesso m 821.
I versanti del Monte Lauro e dei rilievi adiacenti accolgono gli impluvi di quattro fra i principali fiumi iblei: l'Anapo e il San Leonardo che sfociano nel Mar Ionio, l'Irminio e l'Acate che sfociano nel Mar di Sicilia. Pochi gli altri fiumi di una certa importanza; citiamo il Tellaro, che origina dal Monte Erbesso, l'Ippari, il Cassibile e il Rio Cavadonna. Il Fiume di Caltagirone, uno dei rami del Gornalunga, che affluisce da dx al Simeto poco prima che questo sfoci nel Mar Ionio, segna il confine settentrionale della regione orografica iblea; così come il Fiume Maroglio, affluente di sx del Fiume Gela ne segna il confine occidentale.
L'alternarsi dei tavolati calcarei e delle cave dà origine ad un paesaggio unico, tipico degli Iblei, in cui i pianori sommitali calcarei, aridi per il fenomeno del carsismo, si alternano, con forte contrasto, alle profonde cave che, al contrario, si presentano lussureggianti di vegetazione a causa della costante presenza dell'acqua di fiumi e torrenti e del limitato soleggiamento diurno, condizioni queste che consentono a molte specie vegetali di sopravvivere alla lunga e siccitosa estate siciliana.
La flora degli altopiani è caratterizzata da una gariga con cespugli di erica, cappero e camedrio, arbusti di lentisco e olivastro, pulvini emisferici di euforbia arborea, piante di asfodelo e di iris e piante aromatiche mediterranee come timo, rosmarino e santoreggia. Isolati gli alberi, principalmente di carrubo o mandorlo. Nelle zone più fresche sono presenti lecci, ornielli, terebinti, caprifichi, perastri. Nei fondivalle freschi e umidi la vegetazione è più fitta: alle presenze arboree di platano, salice, pioppo, carpino, acero, ontano, tamerice, fico, frassino e roverella si affiancano arbusti di oleandro, ricino, alaterno, fillirea e mirto e piante di rovo, acanto, smilax, edera, felci, vitalba, ciclamino, e nelle zone più umide equiseto, capelvenere, carici, giunchi, iris d'acqua.
La fauna annovera fra i mammiferi: volpe, martora, donnola, istrice, riccio, lepre, coniglio, ghiro, pipistrello, topo quercino; fra gli uccelli: falco pellegrino, gheppio, coturnice sicula, merlo, beccaccia, colombaccio, upupa, codibugnolo, scricciolo, usignolo, ballerina gialla, assiolo, civetta, allocco, barbagianni, martin pescatore, gallinella d'acqua e merlo acquaiolo; fra i rettili: biscia d'acqua, biacco, tartaruga, la coronella girondica detta in siciliano "scursuni" e il colubro leopardino; fra i pesci: anguilla, tinca e trota salmo ed inoltre anfibi (rana verde) e crostacei (granchio di fiume).


Pantalica e la Valle dell'Anapo.

La Valle dell'Anapo è senza dubbio la più bella e interessante fra le cave iblee in quanto costituisce un ambiente unico al mondo per le sue peculiarità turistico-naturalistiche dove la morfologia dei canyon e la lussureggiante vegetazione fluviale accolgono la rarità archeologica offerta dalla Necropoli di Pantalica: migliaia di tombe scavate nella roccia delle rupi, che dagli altopiani precipitano al fondovalle, ad opera di un popolo della preistoria che già oltre 3.000 anni fa abitava questo felice angolo della Sicilia.
Il Fiume Anapo nasce dal Monte Lauro, ha un bacino di 375 km2 e sfocia nel mar Ionio poco a S di Siracusa, dopo un corso di circa 52 km. Alla foce le acque dell'Anapo si uniscono a quelle del piccolo fiume Ciane e del Rio Cavadonna.
In data 16/1/1998 per proteggere questa meravigliosa valle ed i tesori che conserva è stata istituita la Riserva Naturale Orientata "Pantalica, Valle dell'Anapo e Torrente Cavagrande" di 3.712 ettari ricadenti nei comuni di Sortino, Ferla, Cassaro, Buscemi e Palazzolo Acreide. La sua gestione è stata affidata all'Azienda Foreste Demaniali della Regione Siciliana.

Pantalica è la più grande necropoli del bacino del Mediterraneo; fu costruita fra il XIII e l'VIII secolo a.C. da popolazioni indigene della Sicilia orientale che abitarono l'alta valle dell'Anapo formando il mitico regno che ebbe come capitale la città di Hybla e come scalo marittimo il porto naturale di Siracusa. Da Hybla deriva il nome dell'intero gruppo montuoso (Monti Iblei) della Sicilia sud-orientale. La città, occupava l'altopiano compreso fra la valle dell'Anapo e quella del suo affluente Calcinara-Bottiglierìa. Il sito, pur essendo naturalmente difeso da precipiti costoni rocciosi, fu fortificato da una grandiosa trincea, scavata nella roccia all'esterno della porta di accesso alla città, per isolare vieppiù l'altopiano su cui la stessa si sviluppava.
I resti del grande edificio a grossi blocchi di pietra poligonale, denominato Anàktoron o palazzo del principe, ritrovati sull'altopiano e risalenti al XII secolo a.C., fanno pensare appunto alla dimora del re, così come le grandi tombe a camera presenti nel versante meridionale, poco distanti dall'Anàktoron suggeriscono l'ipotesi che esse fossero le tombe dei sovrani che nel tempo si succedettero nel regno di Hybla. La storia menziona come ultimo re di questo mitico regno, Hyblon, che consentì ai Greci di Megara di fondare nel 728 a.C., sulla costa ionica poco a nord di Siracusa, una colonia che prese il nome di Megara Hyblaea.
Gli abitanti di Hybla dovettero nel tempo fronteggiare le invasioni di popoli provenienti dal continente, come i Siculi, gli Ausoni e i Morgeti e non si sa se questi si sostituissero o integrassero con quelli. Si sa invece che il regno fu distrutto dai Siracusani nella loro avanzata per la conquista dei territori interni della Sicilia. Siracusa infatti fondò sull'altopiano ibleo con obiettivi militari, Akrai nel 664 a.C. e successivamente Casmene, conquistando poi l'intera regione iblea.
La necropoli è costituita da oltre 5.000 tombe a grotticella artificiale di forme e dimensioni diverse e alcune tombe a camera, tutte scavate nella roccia di precipiti costoni calcarei. Le tombe sono però distribuite in cinque distinte necropoli lungo le fiancate rocciose delimitate dall'Anapo e dal Calcinara: le più antiche, risalenti a periodi che vanno dal XII all'XI secolo e cioè al primo periodo dell'età del Bronzo, sono quelle delle Necropoli Nord e Nord-ovest, mentre la Necropoli Sud e quelle di Filiporto e della Cavetta risalgono a periodi compresi fra il IX e l'VIII secolo, cioè al terzo periodo dell'età del bronzo.
In epoca bizantina, la necropoli fu abitata da popolazioni che ivi trovarono rifugio per trovare scampo alle incursioni saracene. Alcune tombe furono convertite in abitazioni rupestri e diedero luogo a piccoli villaggi trogloditici (San Micidiario, San Nicolicchio, Cavetta) dove non mancava la chiesetta rupestre ricavata dall'uso di precedenti tombe.

Siracusa.
La storia di Siracusa è la storia di una grande città dell'antichità. Fondata nel 734 a.C. dai Corinzi guidati da Archìa, la città greco-sicula prosperò presto e, nei secoli che seguirono, grazie alla guida di abili tiranni: Gelone, GeroneI, Dionisio I, Timoleonte, Agatocle, GeroneII, raggiunse momenti di grande splendore ed estese i suoi domini a gran parte della Sicilia, riuscendo anche a fronteggiare gli attacchi di potenti eserciti sconfiggendo i Cartaginesi, gli Ateniesi e i Romani. A questi ultimi tuttavia Siracusa dovette arrendersi nel 212 a.C., nonostante le invenzioni difensive escogitate da Archimede, il quale 2 anni prima, con l'invenzione degli specchi ustori, era riuscito ad incendiare la flotta romana che, ferma nel porto, assediava la città.
Siracusa decadde rimanendo però sempre fra le maggiori città dell'Isola. Del suo antico splendore rimangono segni di eccezionale importanza storica e archeologica come il Teatro Greco, secondo per grandezza dopo quello di Epidauro in Grecia, l'Anfiteatro Romano, l'Ara di Ierone, l'Orecchio di Dionisio, le Latomie; tutti questi monumenti, in gran parte riportati alla luce nel XIX secolo dall'archeologo Paolo Orsi, fanno ora parte di un grande complesso denominato "Parco Archeologico della Neàpolis" dal nome del quartiere che Gelone fece costruire alla periferia occidentale della città per ospitare gruppi di cittadini di Gela, Camarina e Megara Hyblea ivi coattivamente trasferiti. Notevole monumento è il Castello Eurialo, grandiosa opera militare di epoca greca fatta costruire da Dionisio il Vecchio fra il 402 e il 397 a.C. nell'altopiano dell'Epipoli a difesa di un tratto delle mura esterne della città.
Collegata alla terraferma da un istmo artificiale, l'isola di Ortigia, che ha visto sovrapporre nei secoli tutte le culture passate dalla Sicilia, conserva monumenti di tutte le epoche a cominciare dal Duomo, che seppur costruito nel VII secolo d.C. e ricostruito dopo il terremoto del 1542, ingloba le colonne greche del tempio di Atena, costruito nel V secolo a.C. Luogo mitico di Ortigia è la Fonte Aretusa, fonte di acqua dolce a pochi metri dal mare, dove crescono spontanei i papiri. La leggenda narra della ninfa Aretusa che per sfuggire al corteggiamento del cacciatore Alfeo chiese aiuto agli dèi e fu trasformata in ruscello potendo così dalla Grecia attraversare il Mar Ionio e sbucare nell'isola di Ortigia. Ma anche Alfeo subì la stessa sorte e andò a sgorgare nelle acque del Porto Grande, poco distante dalla fonte Aretusa. Ortigia conserva inoltre chiese, palazzi svevi, aragonesi e barocchi, piazze e fontane, vicoli e cortili di impronta araba, botteghe di artigiani, un castello medievale e un quartiere ebraico: uno scrigno di tesori dove si respira l'aria del mare, sempre vicino, e della storia.

Akrai e Palazzolo Acreide.
Nel 664 a.C. i Siracusani, nel processo di espansione dei loro territori verso l'interno, fondarono la colonia di Akrai, che ebbe grande importanza strategica per il controllo dell'altopiano ibleo e dell'alta valle dell'Anapo. La città sopravvive sotto il dominio romano, vive l'esperienza paleocristiana, come testimoniano le numerose catacombe e gli ipogei scavati nei pressi delle latomie greche, e infine viene distrutta dai Musulmani.
Nei suoi pressi, attorno ad un castello oggi non più esistente, si sviluppò, nell'Alto Medioevo, il borgo di Palazzolo, citato dal geografo arabo Edrisi col nome di "Balansul". Il nuovo centro cresce soprattutto a partire dal XVI secolo grazie agli interventi degli ordini religiosi che ne condizionano l'assetto urbanistico. L'impronta barocca dell'attuale Palazzolo Acreide, riscontrabile soprattutto in alcune monumentali chiese, è data dalla ricostruzione successiva al terremoto del 1693. Di particolare interesse nella cittadina che oggi conta circa 11.000 abitanti, è la Casa-Museo di Antonino Uccello, dove sono esposte importanti testimonianze della civiltà contadina e del folklore ibleo e siciliano.
La città vecchia, Akrai, conserva importanti vestigia della sua antica storia che oggi formano un interessante Parco Archeologico: il Teatro Greco, le latomie (Intagliata, Intagliatella e Templi Ferali), i resti del Tempio di Afrodite e una serie di 12 sculture in pietra, chiamate "santoni", dedicate al culto della dea Cibele, madre del mondo mediterraneo e orientale.


I centri minori.

Meritano una breve visita i piccoli centri della provincia di Siracusa posti sull'Altopiano Ibleo: Buccheri, Buscemi, Cassaro, Ferla e Sortino, paesini distesi su pianori o arroccati su alti colli della Valle dell'Anapo, conservano l'aspetto barocco della ricostruzione successiva al terremoto del 1693 e si offrono come luoghi di straordinario interesse sotto l'aspetto paesaggistico ed etnoantropologico. Ciò grazie ad uno sviluppo economico ed urbanistico discreto e graduale che ha loro consentito di mantenere un legame col tradizionale mondo rurale.

Il Fiume Ciane.

Un piccolo corso d'acqua, le rive ricoperte dai papiri, un ambiente suggestivo che richiama antiche leggende della mitologia greca. E' il Fiume Ciane, originato da due sorgenti (Fonte Ciane) denominate Pisma e Pismotta, che attraversa un bassopiano costiero calcarenitico e, dopo un corso di circa 4 km, sfocia nello Ionio a sud di Siracusa, unendo alla foce le sue acque con quelle dell'Anapo; da ciò nasce forse la leggenda che narra di Ciane, ninfa siracusana amante di Anapo, trasformata in fonte per aver cercato di impedire il rapimento di Persefone ad opera del dio Plutone. Il Ciane, a metà del suo corso, riceve da dx le acque del Rio Fontana Mortilla, raggiungendo con esso una lunghezza complessiva di circa 8 km. Il nome del fiume (e della ninfa) deriva forse dal greco Cyanos, che significa azzurro e che indica il colore delle sue acque.
Il papiro, Cyperus papyrus, che cresce rigoglioso lungo le rive del Ciane, è un erba perenne con lungo e sottile stelo alto fino a 4 metri e ampio pennacchio florale. E' spontaneo lungo le rive dei fiumi dell'Africa tropicale e dell'Asia occidentale (Siria, Palestina), mentre in Europa cresce solo in Sicilia, nei fiumi del Siracusano: la colonia di papiri del Ciane è infatti la più estesa ed importante d'Europa. La pianta fu usata nell'antichità, fin dal IV millennio a.C., dagli Egizi, per produrre la prima carta per scrivere, chiamata appunto papiro e formata da lunghi fogli arrotolati.
Il 14/3/1984 è stata istituita la Riserva Naturale Orientata "Fiume Ciane e Saline di Siracusa" allo scopo di proteggere la preziosa rarità naturalistica e l'ambiente circostante peraltro pesantemente manomesso dagli interventi dell'uomo.
La flora del Ciane annovera molte piante acquatiche o igrofile, fra cui il Potamogeton, l'Equiseto e l'infestante Cannuccia di palude che rischia di soffocare il papiro, mentre fra la vegetazione arborea si notano numerosi esemplari, anche di grosse dimensioni, di Frassino, Pioppo e Salice. Pesci, rettili, anfibi e insetti acquatici si aggiungono alla interessante fauna ornitica presente nelle acque del Ciane, che annovera fra gli altri il Martin pescatore, il Pendolino, l'Usignolo di fiume, il Forapaglie e la Gallinella d'acqua.

A cura di Giuseppe Casamento

Bibliografia.
Guida d'Italia. Sicilia - TCI 1989
Risorsa ambiente. A cura di Aurelio Angelini - Arbor 1999
Pratesi-Tassi: Guida alla natura della Sicilia - Mondadori 1985
Fulco Pratesi: "La Natura degli Iblei" in Qui Touring aprile 2001
Margaret Guido: Guida archeologica della Sicilia - Sellerio 1978
Santi Correnti: Leggende di Sicilia - Longanesi 1979
Pubblicazioni AAPIT di Siracusa
Cartografia IGM 1:25.000 e 1:50.000

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